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Channel: Repubblica della Abkhazia – Pagina 342 – eurasia-rivista.org

Il Patto di non aggressione tedesco-sovietico

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GLI USA PROGETTANO LA GUERRA INTESTINA DELL’EUROPA

(…) Sarebbe desiderio degli Stati democratici che là in Oriente scoppiasse un conflitto bellico fra il Reich tedesco e la Russia. Poiché il potenziale delle forze dell’Unione Sovietica non è finora noto, potrebbe avvenire che la Germania, allontanandosi troppo dalla sua base, venisse condannata a una guerra lunga e debilitante. Allora soltanto gli Stati democratici, come opina Bullitt [ambasciatore degli USA in Francia, ndr], attaccherebbero la Germania e la costringerebbero a una capitolazione. Alla mia domanda se gli Stati Uniti prenderebbero parte a una simile guerra, egli mi rispose: “Indubbiamente sì, ma solo quando Inghilterra e Francia avranno attaccato per prime!” Lo stato d’animo negli Stati Uniti è, come disse, di fronte al nazismo e hitlerismo così teso, che già oggi regna fra gli americani una psicosi simile a quella della dichiarazione di guerra dell’America alla Germania nel 1917.

(Dal Rapporto dell’ambasciatore polacco a Washington, conte Jerzy Potocki, del 21 novembre 1939; cit. secondo Documenti polacchi concernenti la preistoria della guerra. Prima serie, Berlino 1940)

(…) Dalla conversazione con Bullitt ricavai l’impressione che egli abbia ricevuto dal Presidente Roosevelt una precisa definizione del punto di vista adottato dagli Stati Uniti in considerazione dell’attuale crisi europea. (…) Il contenuto di queste direttive, che Bullitt mi elencò nel corso del colloquio durato mezz’ora, è il seguente:

1. Un ravvivamento della politica estera sotto la direzione del Presidente Roosevelt, il quale condanna drasticamente e inequivocabilmente gli Stati totalitari.   2. I preparativi della guerra da parte degli Stati Uniti, per mare, per terra e nell’aria, che vengono spinti con ritmo accelerato e ingoiano l’immensa somma di un miliardo e duecentocinquanta milioni di dollari.   3. La risoluta intenzione del Presidente che Francia e Inghilterra pongano fine a qualunque politicadicompromesso con gli Stati totalitari. Non devono entrare con essi in alcuna discussione, che possa avere per scopo un qualunque spostamento territoriale.   4. Una garanzia morale che gli Stati Uniti abbandoneranno la politica isolazionistica e saranno pronti, nel caso di una guerra, a intervenire attivamente a fianco dell’Inghilterra e della Francia. L’America è disposta a mettere a loro disposizione tutte le sue risorse finanziarie e tutte le sue provviste di materie prime.

(Dal Rapporto dell’ambasciatore polacco a Washington, conte Jerzy Potocki, del 16 gennaio 1939; cit. secondo Documenti polacchi concernenti la preistoria della guerra. Prima serie, Berlino 1940)

IL PATTO DI NON AGGRESSIONE

(…) Reali divergenze d’interessi fra la Germania e l’URSS non sussistono. Gli spazi vitali della Germania e dell’URSS si toccano, ma non si urtano nei loro bisogni neutrali. Manca quindi a priori ogni motivo di una tendenza aggressiva di un paese contro l’altro. La Germania non ha mire aggressive di alcun genere contro l’URSS. Il governo del Reich è d’avviso che fra il Mar Baltico e il Mar Nero non esista alcun problema che non possa essere regolato a soddisfazione dei due paesi. Si tratta qui di problemi quali: Mare Baltico, Stati Baltici, Polonia, questioni sud-orientali, ecc. A prescindere da ciò, la collaborazione politica dei due paesi non potrebbe non essere utile. Questo si riferisce anche all’economia tedesca e sovietica che s’integrano a vicenda in ogni senso. (…) L’inasprimento dellerelazioni tedesco-polacche, provocato dalla politica inglese, come altresì l’incitamento inglese alla guerra e le conseguenti ricerche d’alleanza, rendono necessaria una rapida chiarificazione dei rapporti tedesco-russi. (…)

(Ordine telegrafico di Ribbentrop all’ambasciatore tedesco a Mosca, 14 agosto 1939)

Al cancelliere del Reich signor A. Hitler.

Ringrazio per la lettera. Spero che il patto tedesco-sovietico di non aggressione apporterà un serio miglioramento delle relazioni politiche fra i nostri due paesi. I popoli dei nostri paesi hanno bisogno di reciproche relazioni amichevoli. Il proposito del governo tedesco di concludere un patto di non aggressione crea la base per la liquidazione delle tensioni politiche e per il ristabilimento della pace e della collaborazione fra i nostri due paesi. Il governo sovietico mi ha incaricato di comunicarvi che è d’accordo con l’arrivo del signor von Ribbentrop a Mosca il 23 agosto.

(Lettera di I. V. Stalin ad A. Hitler, 21 agosto 1939)

VON RIBBENTROP AL CREMLINO

Ero conscio della particolare responsabilità di quella missione, avendo io stesso proposto al Fuehrer di fare il tentativo di un’intesa con Stalin. Era in genere possibile un compromesso dei mutui interessi? A quel tempo le missioni militari inglese e francese a Mosca trattavano ancora col Cremlino circa l’ideato patto militare. Per quanto stava in me avrei fatto di tutto per conseguire un accordo. Erano questi i pensieri che mi agitavano quando il nostro aereo si stava avvicinando a Mosca, dove accanto alle bandiere dell’Unione Sovietica sventolavano quelle del Reich. Fummo ricevuti dal nostro ambasciatore conte Schulenburg e dall’ambasciatore russo Potemkin. Dopo aver passato in rivista una compagnia d’onore delle forze aeree sovietiche, il cui atteggiamento e aspetto facevano senza dubbio una buona impressione, guidati da un colonnello russo ci recammo all’ex ambasciata austriaca, dove alloggiai durante il mio soggiorno a Mosca. (…) Dopo un breve e formale saluto ci sedemmo in quattro intorno a un tavolo: Stalin, Molotov, Schulenburg ed io. (…) Al principio del colloquio esternai il desiderio della Germania di porre le relazioni tedesco-sovietiche sopra un nuovo piano, e di trovare un accordo degli interessi in tutti i campi, volendo intenderci con la Russia per lunghissimo tempo. Ricordai a tale proposito il discorso di Stalin tenuto in primavera, nel quale a nostro avviso aveva espresso propositi analoghi. (…) Parlò Stalin, breve e conciso, senza spendere molte parole; ma ciò che disse era chiaro, inequivocabile e mostrava, come mi sembrò, pure da parte sua il desiderio di giungere a un compromesso e a un’intesa con la Germania. (…) La risposta di Stalin era tanto positiva che, dopo la prima spiegazione fondamentale, nella quale fu constatata la reciproca buona disposizione a concludere un patto di non aggressione, si poté passare subito alla parte materiale della delimitazione dei mutui interessi ed in ispecie alla crisi polacco-tedesca. Durante le trattative regnò un’atmosfera favorevole, benché i russi fossero conosciuti quali diplomatici duri. Le sfere d’interessi nei paesi situati fra la Germania e l’Unione Sovietica furono circoscritte. La Finlandia, la più gran parte degli Stati baltici, come altresì la Bessarabia, vennero dichiarati appartenenti alla sfera sovietica. Per il caso dello scoppio di un conflitto tedesco-polacco che, data la situazione vigente non sembrava escluso, fu convenuta una linea di demarcazione. (…)

Stalin si alzò per tenere un breve discorso, nel quale parlò di Hitler come dell’uomo che sempre aveva straordinariamente ammirato. Con parole molto amichevoli espresse la speranza che con i trattati testé conclusi si sarebbe avviata una nuova fase delle relazioni tedesco-sovietiche. (…) Stalin m’avevafatto sin dal primo momento del nostro incontro una forte impressione: era un uomo di grande levatura. Il suo modo d’esprimersi freddo, quasi asciutto, eppure così preciso, e la durezza, ma altresì l’ampiezza di vedute nel condurre le trattative, mostravano che la sua fama non era immeritata. Il corso delle mie discussioni e conversazioni con Stalin mi procurò un chiaro concetto della forzae potenza di quest’uomo, il cui cenno era diventato un ordine fino nel più lontano villaggio dell’immensa Russia, e che era riuscito a fondere i duecento milioni d’individui del suo regno, come nessuno era stato in grado di farlo.

(Joachim von Ribbentrop, Fra Londra e Mosca, Bocca, Roma 1954, pp. 220-225)

I RESPONSABILI DELLO SCOPPIO DELLA GUERRA

(…)
a) non è stata la Germania ad attaccare la Francia e l’Inghilterra, bensì la Francia e l’Inghilterra hanno attaccato la Germania, assumendosi la responsabilità della guerra in corso;
b) dopo l’inizio delle ostilità, la Germania si è rivolta alla Francia e all’Inghilterra con proposte di pace, appoggiate dall’Unione Sovietica, perché essa ha sempre ritenuto, e continua a ritenere, che una rapida cessazione della guerra alleggerirebbe in modo radicale la situazione dei popoli e dei paesi tutti;
c) i circoli governativi dell’Inghilterra e della Francia hanno brutalmente respinto sia le proposte di pace della Germania che i tentativi dell’Unione Sovietica intesi a ottenere quanto prima la cessazione del conflitto.
Questi sono i fatti.
Che cosa possono contrapporre a questi fatti i politici da café-chantant dell’agenzia Havas?

(I. V. Stalin, “Pravda”, 30 novembre 1939)

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Maria Lina Veca, Cuor di lupo – Vučje srce

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Ambasciata della Repubblica di Serbia

è lieta di invitarvi alla presentazione del libro

CUOR DI LUPO – VUČJE SRCE

di MARIA LINA VECA

mercoledì , 14  ottobre 2009,  ore 20,00

presso la

Residenza dell’Ambasciatore

Via dei Monti Parioli, 22

00197 Roma

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“I giorni migliori devono ancora arrivare”

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No, non si tratta del vecchio ritornello di una canzone di Vasco Rossi.

In quel brano il cantautore modenese si riferiva all’attesa messianica di un anziano militante del PCI, che abbandonate le “utopie” rivoluzionarie confidava tutte le sue speranze in una grande stagione di “riforme” per cambiare l’Italia.

Stavolta, invece, riguarda le dichiarazioni di Mark Hurd, amministratore delegato della multinazionale statunitense Hewlett-Packard Co, che nelle sue previsioni per l’esercizio fiscale 2010 si aspetta una crescita nel mercato delle tecnologie e di un utile compreso tra i 3,60 ed i 3,70 dollari per azione: i ricavi previsti si aggirerebbero, quindi, tra i 117 e i 118 miliardi di dollari.

Peccato che per quanto riguarda la sua filiale italiana, la Hewlett Packard distributed computing services abbia appena previsto un taglio di 130 persone su 600 in organico, sottolineando difficoltà nei bilanci provocate dalla crisi che sta investendo il mercato dell’informazione tecnologica …

Sorte non migliore per altri 130 dipendenti dell’Ideal Standard, marchio leader della ceramica sanitaria in tutto il mondo, il cui stabilimento di Brescia starebbe per essere chiuso da un fondo d’investimento nordamericano, più interessato alle speculazioni finanziarie ed immobiliari che all’eccellenza tecnologica e professionale dei lavoratori.

Da ultimo (almeno per ora) la vicenda riguardante il gruppo Fantuzzi-Reggiane, da tempo in cattive acque finanziarie e recentemente acquisito dalla multinazionale statunitense Terex.

Quest’ultima, con una raccomandata inviata lo scorso 24 settembre alle rappresentanze sindacali unitarie degli stabilimenti di Reggio Emilia, Lentigione e Monfalcone ha annunciato, a partire dal 1 ottobre, la cassa integrazione a zero ore per la maggioranza dei suoi 630 dipendenti.

Sarebbe interessante conoscere l’opinione dei sostenitori dei “rapporti transatlantici”, i quali quotidianamente cercano di sabotare i proficui legami economici tra Italia e Russia, che uniti agli accordi energetici con Algeria e Libia rappresentano una boccata d’ossigeno importantissima in un momento tanto critico per le nostre imprese.

Questi episodi, però, confermano soprattutto l’impressione che ci portiamo dietro da tempo e che è riaffiorata pochi giorni fa anche nelle parole di Giulio Tremonti; l’attuale Ministro dell’Economia, criticando il comportamento delle banche che nonostante tutto continuano a voler speculare con i loro algoritmi finanziari, le ha accusate di preparare la prossima crisi.

Per quanto ci riguarda non ci sarà una prossima crisi, nel senso che dall’attuale non se ne uscirà indenni.

Fanno perciò sorridere, se non si trattasse di problemi che riguardano la sorte di milioni di lavoratori, quanti hanno pronosticato una ripresa dell’economia per il 2010, previsione poi subito corretta indicando come anno della rinascita il 2011 …

L’economia reale subirà invece un drastico ridimensionamento e il suo volume d’affari si contrarrà a livello globale tra il 20 e il 30%, con ovvie ricadute sull’occupazione, il rilancio del protezionismo e il cambiamento di alcuni stili di vita.

Ma i problemi maggiori potrebbero arrivare proprio dagli squilibri finanziari, causati dalla dipendenza del dollaro dalla Cina (che invece di biglietti verdi ha iniziato a comprare oro e metalli preziosi) e dalla prossima iperinflazione statunitense, che facilmente potrebbe riversarsi in Europa.

Come uscirne?

Le potenze del BRIC da mesi stanno proponendo di costituire un sistema monetario con una divisa internazionale alternativa al dollaro, sistema che consentirebbe probabilmente di legare la finanza alla produzione reale.

Quanto gli Stati Uniti abbiano però l’intenzione di abdicare pacificamente al loro dominio planetario è difficile da dirsi: l’avvento dell’Amministrazione Obama, la più grande operazione di marketing politico di tutti i tempi, paradossalmente, fa temere per il peggio …

Stefano Vernole, redattore di “Eurasia, rivista di studi geopolitici”, dottore in Storia contemporanea. Contributi pubblicati: Palestina: una diplomazia tra speranze e illusioni (nr. 1/2005, pp. 179-200), La “spina” tibetana (nr. 1/2006, pp. 165-175), L’Armata Popolare cinese: un nuovo modello di esercito (nr. 3/2006, pp. 91-95), La terza guerra fredda (nr. 2/2007, pp. 133-142), La globalizzazione e la risoluzione dei conflitti (nr. 1/2008, pp. 241-260).
Esperto di questioni balcaniche, ha recentemente pubblicato:La questione serba e la crisi del Kosovo
Noctua Edizioni

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Barbarie inaudite in Europa

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Dopo l’arrivo delle forze internazionali nel Kosovo e Metochia nel 1999 gli albanesi hanno distrutto circa 6750 tombe serbe nei 250 cimiteri, mentre nei 60 cimiteri non è rimasta in piedi nemmeno una tomba ortodossa serba. I vandali schipetari hanno anche fatto saltare in aria alcuni cimiteri completi come quello di Staro Gracko presso Lipljan.

Nella parte del sud di Kosovska Mitrovica dove ora vivono prevalentemente gli albanesi sono distrutte 550 tombe e la cappella è stata bruciata.

Nella parte del nord di Kosovska Mitrovica dove ora vivono prevalentemente i serbi non c’è alcuna tomba albanese danneggiata o distrutta.

Nel cimitero di Pristina sono stati distrutte più di 500 tombe serbe. La polizia della UNMIC ha comunicato che solo in una notte della fine dell’agosto del 2004 sono state distrutte 70 tombe. Gli albanesi vi costruiscono i palazzi e vi scaricano la terra scavata per annientare ciò che è rimasto del cimitero serbo.

In presenza delle forze internazionali gli schipetari hanno trasformato il cimitero ortodosso serbo di Belo Polje presso Pec in una discarica di rifiuti. Il cimitero di periferia di Djakovica, nel quale sono stati sepolti anche alcuni soldati francesi morti nella Prima guerra mondiale, è stato trasformato nella pattumiera.

L’UNMIC ha pagato operai albanesi per ripulire un cimitero serbo e questi hanno colto l’occasione di spezzare tutte le croci cristiane delle tombe, senza essere puniti dalle forze internazionali.

In molti casi gli schipetari trasformano i cimiteri ortodossi serbi in  pascoli o strade.

Nei cimiteri del Kosovo e Metochia centrale gli schipetari hanno aperto le cripte e i sepolcri serbi e hanno sparpagliato per i campi le ossa dei morti serbi.

I rappresentanti internazionali e le forze della NATO constatano questi vandalismi albanesi ma non fanno niente per impedirlo o trovare i colpevoli.

Nemmeno una protesta contro i vandali. I giornalisti occidentali tacciono. L’Europa tace. La Chiesa cattolica tace. Amnesty International tace.  Se i serbi avessero danneggiato una sola tomba albanese si sarebbe scatenato il putiferio antiserbo.

Europa decadente, le tombe cristiane serbe del Kosmet che sono state distrutte dai barbari schipetari sono la tua vergogna!

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Un attacco contro l’Iran non sarebbe che un preludio alla realizzazione dei veri obiettivi di Israele

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Fonte: http://lataan.blogspot.com/
27 septembre 2009
http://lataan.blogspot.com/2009/09/attack-on-iran-will-be-just-prelude-to.html

Dopo aver attaccato l’Iran (osservate bene che non scrivo: ‘se Israele attacca l’Iran’), verosimilmente Israele se la prenderà simultaneamente con Hamas a Gaza e con Hezbollah in Libano; inoltre riprenderà un controllo totale sulla Cisgiordania occupata. S’impadronirà totalmente della Cisgiordania, perché, nonostante alcune discordie tra Hamas ed el Fatah, una tale massiccia aggressione degli Israeliani sarà considerata non solo un attacco contro Hamas, bensì un’aggressione contro il popolo palestinese nel suo insieme. Ben presto, i Palestinesi scopriranno che un attacco così massiccio ha in realtà un solo scopo: distruggere ogni resistenza palestinese, sia essa di el Fatah oppure di Hamas, occupare completamente tutti i territori palestinesi, sottomettere la totalità del popolo palestinese e dissolvere l’Autorità palestinese, mettendo fine una volta per tutte ad ogni speranza di edificare uno Stato  palestinese.

L’esercito israeliano attaccherà anche il Libano meridionale, al fine di occuparlo  e di distruggervi Hezbollah fino alla minima traccia. Tutto questo sarà fatto col pretesto  che Hamas ed Hezbollah verosimilmente procederebbero a rappresaglie contro Israele nell’eventualità che quest’ultimo attaccasse l’Iran e gli attacchi israeliani contro i Palestinesi ed Hezbollah (libanese) saranno considerati in Occidenti solo degli attacchi preventivi miranti a dissuadere quei movimenti, nei quali Israele e l’Occidente vedono solo degli « ausiliari dell’Iran », dal procedere ad attacchi di rappresaglia contro Israele.

Dalla maggior parte degli osservatori e dei responsabili occidentali, le azioni di Israele contro i Palestinesi ed Hezbollah saranno considerate una semplice azione necessaria, nel quadro dell’ « avvenimento » principale : l’attacco contro l’Iran.

Mentre solo poche settimane fa sembrava che Israele dovesse partire in guerra da solo o quantomeno passare all’azione per primo contro l’Iran, alla luce di recenti avvenimenti negli Stati Uniti e all’Assemblea generale dell’ONU nonché di rivelazioni su un impianto nucleare iraniano cosiddetto « segreto » e di dichiarazioni fatte nel corso di conferenze stampa in occasione del vertice del G20, sembra che gli Stati Uniti siano forse più inclini a procedere di persona ad un primo attacco contro l’Iran, oppure a dare via libera ad Israele per scatenare una prima ondata di bombardamenti, dopo la quale gli Stati Uniti continuerebbero il lavoro al posto degli Israeliani, mentre questi ultimi la farebbero finita con Hezbollah ed i Palestinesi.

Un attacco contro l’Iran non potrebbe limitarsi alla semplice distruzione delle installazioni nucleari di questo paese – in quanto questa parte dell’attacco mirerebbe solo a giustificare  l’aggressione nel suo complesso, a fini propagandistici -, gli Stati Uniti dovrebbero lanciare pure dei massicci attacchi contro l’esercito e contro le istituzioni governative dell’Iran, al fine di costringere gli Iraniani a capitolare davanti alle pretese americane, che comporrebbero l’allontanamento dal potere non solo di Ahmadinejad, ma anche dei mollah, e l’instaurazione di un governo provvisorio nominato dall’ONU (l’ONU si accontenterà di riprendere i nomi che gli detteranno gli Americani).

La guerra contro l’Iran sarà talmente massiccia che gli attacchi simultanei di Israele contro Hezbollah e contro i Palestinesi sembreranno, agli occhi dell’Occidente, delle figurazioni marginali del grande « show ». Eppure, l’operazione nel suo insieme punta meno a mettere l’Iran in ginocchio che a permettere ad Israele di realizzare la sua ambizione di sempre: creare un eterno Grande Israele.

Per Israele e gli Stati Uniti, si tratta di prendere diversi piccioni con la stessa fava : Israele guadagna la Cisgiordania, la striscia di Gaza, una Siria del tutto impotente e l’accesso al fiume Litani, in Libano meridionale, dopo aver totalmente distrutto Hezbollah. Gli Stati Uniti ricevono come strenna un governo loro sottomesso in Iran, il quale a sua volta darà loro ben più forza in Iraq e in Afghanistan, dopo la scomparsa di un Iran teocratico che esercita un’influenza non trascurabile in questi due paesi.

Per Israele e gli Stati Uniti, quest’attacco programmato contro i loro comuni nemici non ha strettamente niente a che vedere con il « programma nucleare militare dell’Iran » e, in compenso, si inserisce perfettamente in un complesso di avvenimenti minuziosamente pianificati e calcolati, ricorrendo ad un’incessante campagna propagandistica di ampiezza mondiale, il quale culminerà nella realizzazione concreta e duratura degli obiettivi dei sionisti di Israele e dei neoconservatori americani [che continuano a tirare i fili del mondo, ma ne hanno cambiato le marionette, ndt].

Traduzione eseguita da Belgicus dalla versione in francese di Marcel Charbonnier

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Lisbona: Quali implicazioni geopolitiche?

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Irlanda: il 2 ottobre 2009, in occasione del secondo referendum sul Trattato di Lisbona, “il sì” l’ha spuntata con il 67,13% contro il 32,87% del no. La partecipazione si è elevata al 59%. Sono i risultati definitivi comunicati dai mass media irlandesi. Prossime tappe: Varsavia e Praga dove si attendono ormai le firme dei due presidenti ceco e polacco. Se il trattato di Lisbona diventasse effettivo, quale sarebbero le prospettive ed i limiti in materia di difesa?

Il potere dell’Europa comunitaria sarebbe accresciuto…

Secondo Pierre Saucede [1] che propone un approccio geopolitico al Trattato di Lisbona, quest’ultimo procurerebbe in una certa misura strumenti di potenza rafforzati. Prima di tutto con nuove capacità d’azione sulla scena internazionale, attraverso una personalità giuridica propria, un Presidente del  Consiglio europeo forte e la personalizzazione della politica esterna dell’Unione europea. L’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza beneficerebbe di un servizio europeo per  l’azione esterna, composto da funzionari della Commissione, del Consiglio e degli stati membri. Questo servizio potrebbe sostenersi sulla rete delle 186 delegazioni dell’Unione europea nel mondo. Queste disposizioni fornirebbero un potenziale d’influenza per permettere all’UE di diventare un attore globale a pieno titolo nel gioco mondiale. In secondo luogo, il trattato di Lisbona renderebbe le istituzioni comunitarie – Consiglio dei Ministri, Commissione, e Parlamento – sempre più indipendenti dagli Stati membri. Tuttavia, le norme del trattato di Nizza continueranno ad imporsi al Consiglio dei Ministri fino all’ottobre 2014, con la possibilità di un’estensione “à la carte„ fino al marzo del 2017. Il sistema di doppia maggioranza previsto dal trattato di Lisbona si suppone essere più efficace di quello di Nizza, perché facilita la formazione di maggioranze, quindi la presa di decisioni. Al rafforzamento dell’efficacia del dispositivo decisionale si aggiunge un’estensione del voto a maggioranza qualificata a nuovi settori. Pierre Saucede osserva che “la natura del Consiglio si troverebbe profondamente modificata da queste nuove disposizioni. Votando a maggioranza qualificata, il Consiglio diventerebbe sempre meno intergovernativo e sempre più sovrannazionale.” Tuttavia, l’Europa della difesa continuerebbe a rientrare nell’area dell’unanimità, cosa che lascia ad ogni Stato una forma “di veto”. Infine, il Parlamento europeo vedrebbe i suoi poteri fortemente accresciuti in materia legislativa, di bilancio e di controllo politico. Senza poter ancora parlare di Stato europeo sovrannazionale, l’Unione europea del trattato di Lisbona amplierebbe il potere delle istanze comunitarie, ma ciò sarebbe sufficiente a portare verso una UE più potente?

… ma resterebbe limitato

Il trattato di Lisbona non colma il deficit di senso dell’Unione Europea, che rimane un progetto di potenza da definire. Questo trattato non precisa cos’ è l’UE e quali sono i suoi obiettivi strategici, anche se rafforza i legami UE-NATO. Leggendo il trattato, non si sa se l’UE è un’organizzazione regionale, una confederazione, una federazione di stati nazione, un super-stato o una struttura intermedia “sui generis”. L’indeterminazione di base persiste. Gli obiettivi, dal canto loro, restano definiti in termini molto generali. Senza definire una strategia di potenza – ma è il luogo? – il trattato elabora un catalogo di valori universali: economia sociale di mercato, lotta contro l’esclusione sociale e le discriminazioni, giustizia sociale, solidarietà tra le generazioni, tutela dei diritti del bambino, coesione territoriale, promozione del progresso scientifico e tecnico… L’UE appare come una potenza essenzialmente normativa, ovvero privilegia l’estensione della sua influenza con la norma e non con la forza.

Quanto alle frontiere dell’UE, il trattato di Lisbona non pone alcuna limitazione d’ordine geografico o di civiltà. Si accontenta di ricordare il principio del rispetto dei valori dell’UE per qualsiasi candidato all’adesione ed i tre “criteri di Copenaghen„ (1993).

In materia di Europa della difesa, il trattato di Lisbona apporta cambiamenti… rafforzando l’impianto originario.

Le missioni della PESD vengono ampliate. L’introduzione di una clausola di solidarietà tra gli Stati membri e di un dovere d’aiuto e di mutua assistenza potrebbero contribuire allo sviluppo di una solidarietà europea. In materia di difesa, nota da parte sua Daniel Keohane, “il cambiamento più importante è che il trattato faciliterà una collaborazione più stretta dei paesi europei sulle questioni militari, utilizzando una procedura conosciuta sotto il termine di “cooperazione strutturata permanente”. Gli Stati membri che rispondono ad un insieme di criteri basati sulle capacità potranno scegliere di cooperare più strettamente.” [2]

Pertanto, conclude P. Saucede, “la PESD resta colpita da un limite congenito. Infatti, la NATO rimane il quadro di riferimento della difesa europea. Le disposizioni iscritte nel trattato di Maastricht sono così riprese nel trattato di Lisbona: la PESD deve rispettare gli obblighi derivanti dal trattato Nord-Atlantico che resta, per gli stati che sono membri, ” la base della loro difesa collettiva e l’istanza della sua messa in atto”.[3] Quest’obbligo di conformità tra gli impegni sottoscritti a titolo della PESD e quelli sottoscritti a titolo della NATO appare come un ossimoro. Ci si può allora legittimamente interrogare sul grado di dipendenza che questa disposizione fa pesare sulla PESD. Si tocca qui un punto determinante. L’Unione europea si vede come una vera potenza sulla scena mondiale o come un semplice blocco dell’insieme euro-atlantico? (…) Quest’ultima rimarrebbe con uno statuto periferico, senza realmente contestare la posizione centrale tenuta dagli Stati Uniti nell’ambito dell’insieme euro-atlantico.” In questo contesto, si impone più che mai il controllo dell’evoluzione delle relazioni UE-NATO. Il rientro della Francia nell’ordine militare integrato della NATO, effettivo dal marzo 2009, si integra in questo contesto e mira ad ottimizzarlo. È ancora troppo presto per pretendere di fare un bilancio. Occorre anche seguire ciò che diverranno “gli orientamenti politici per la prossima Commissione” presentati da Jose Manuel Barosso il 3 settembre 2009. Costui pretendeva allora “di aprire una nuova era per l’ Europa quale attore globale” dopo avere citato alcuni nuovi strumenti offerti dal Trattato di Lisbona, dichiarava: “c’è la volontà politica di utilizzare interamente questi strumenti che saranno veramente decisivi. Io m’impegno affinché la Commissione, che pilota molte politiche estere di primaria importanza, giochi interamente il suo ruolo raccogliendo l’occasione di dare all’Europa il posto che merita sulla scena internazionale. Non dobbiamo considerare le relazioni internazionali come un settore distinto, ma come parte integrante dei mezzi che ci permettono di raggiungere i nostri obiettivi di politica interna.”

Designato per un secondo mandato alla presidenza della Commissione europea, non gli resta che mettere in pratica queste parole.

1. Pierre Saucede, « Quels peuvent être les effets du traité de Lisbonne sur la puissance de l’Union européenne ? », mars 2008, 32 p. Memoria di geopolitica redatta al collegio interforze della difesa sotto la direzione di Pierre Verluise. Tenuto conto della sua data di redazione, non integra le concessioni fatte a Dublino per permettere l’organizzazione di un secondo referendum. Pubblicato nel 2009 nel sito www.diploweb.com all’indirizzo http://www.diploweb.com/Traite-de-Lisbonne-quels-seraients.html

2. Daniel Keohane, « 2008 : une année vitale pour la défense de l’UE », La revue internationale et stratégique, n° 69, printemps 2008, p. 130.

3. Il generale Michel Fennebresque dichiara sull’argomento il 27 novembre 2007: “Queste ultime parole, che erano state aggiunte nel progetto del trattato costituzionale dalla CIG del 2004, sono molto restrittive poiché, prese alla lettera, potrebbero proibire ogni iniziativa europea in materia di difesa, ogni azione autonoma dell’Unione in questo settore.„ Défense nationale, febbraio 2008, p. 71.

Pierre Verluise, ricercatore IRIS, direttore di www.diploweb.com, autore di “20 ans après la chute du Mur. L’Europe recomposée », Paris, Choiseul, 2009 , Parigi, Choiseul, 2009 e coautore di « Géopolitique de l’Europe », Paris, Sedes, 2009

Traduzione a cura di Giovanni Petrosillo

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La Russia e la sicurezza europea

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Fonte: Rusya al-Yaum News Channel

Nell’ambito del programma “Il tema del giorno” trasmesso dall’emissione araba del canale Russia Today, l’emittente televisa russa ha invitato Tiberio Graziani, direttore di Eurasia.

L’argomento trattato ha riguardato i rapporti tra la Russia e i Paesi europei in relazione alla “sicurezza europea”.

Vengono qui riportati alcuni passi dell’intervista:

“Esistono stretti rapporti tra la Russia ed i Paesi europei che procedono in maniera positiva – ha affermato Graziani -, tuttavia dal punto di vista geopolitico questi Paesi sottostanno alle pressioni degli Usa.  Ad ogni modo, importanti relazioni economiche si stanno sviluppando tra la Russia ed i Paesi europei, specialmente alla luce della crisi finanziaria mondiale causata da Washington”.

Quanto all’iniziativa intrapresa lo scorso anno dal presidente russo Medvedev riguardante la firma di un accordo generale per la “sicurezza europea”, Graziani ha detto: “Credo che i leader europei, in particolare quello francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel, saranno costretti a  considerare con la massima attenzione questa iniziativa di Medvedev”.

Per quanto concerne la collaborazione Russia-Nato, ha dichiarato Graziani: “Dopo la Guerra dei Cinque giorni in Caucaso, gli Usa e la Nato si trovano costretti a prendere atto della realtà e ad arrestare necessariamente il progetto di allargamento della Nato verso Oriente”.

“L’unipolarismo è finito, poiché sono emersi altri nuovi poli che ormai vanno considerati nell’ottica di un mondo multipolare”.

La versione integrale dell’intervista può essere vista cliccando qui.

(traduzione dall’originale arabo di Enrico Galoppini)

L’intervista è stata rilasciata a Mosca il 16 settembre 2009 e teletrasmessa il 1 ottobre 2009

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Stati Uniti: malgrado la crisi aumentano i bilanci dello spionaggio

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Fonte: voxnr.com

Mentre decine di migliaia di cittadini statunitensi dormono nella loro automobile o sui marciapiedi a causa dell’impatto devastante della crisi economica, il sistema di spionaggio e d’ingerenza degli Stati Uniti raggiunge proporzioni mai conosciute nella storia di questo paese. In quindici anni, secondo le cifre ufficiali, le spese delle 16 agenzie di informazione degli Stati Uniti sono passate da 26 miliardi di dollari (1994) a 75 miliardi, secondo quanto confermato questo 16 settembre, in una conferenza stampa, dallo ” zar” dell’Intelligence USA, Dennis Blair. Peggio ancora, il numero di funzionari utilizzati in questo sistema gigantesco d’infiltrazione, d’intelligence, di disinformazione e di aggressione raggiunge ora i 200.000, senza contare la legione di agenti, di informatori, di collaboratori che la macchina “imperiale” ingrassa in tutti gli angoli del mondo allo scopo di mantenere il suo dominio.

Gli Stati Uniti dispongono della rete di spionaggio più estesa della storia, la cui implicazione in una lunga successione di cospirazioni, di rapimenti, di assassinii e di atti di terrorismo e di sovversione è in gran parte dimostrata.

In cifre assolute, Washington detiene già da alcuni decenni, il record mondiale delle attività di intelligence, non soltanto presso i suoi nemici o nemici supposti ma anche nel sistema governativo ed industriale dei paesi che professano più grande servilismo e gli offrono il più grande appoggio.

SENZA INCLUDERE LA USAID ET SIMILIA

Il gigantesco dispositivo di penetrazione e di disinformazione descritto da Dennis Blair non comprende le filiali del Dipartimento di Stato come l’Agenzia di sviluppo internazionale (USAID), qualificata agenzia per la destabilizzazione internazionale, una macchina particolarmente attiva in America latina, a favore delle oligarchie pro-yankee. Nel frattempo, in Venezuela l’entità più potente della Comunità dell’Intelligence degli Stati Uniti, l’ODNI (Office of the Director of the National Intelligence) è accusato di condurre una campagna di propaganda contro il governo del presidente Chávez, mentre a Madrid, il presidente boliviano Evo Morales denuncia che gli Stati Uniti tramite la USAID, pagano la campagna elettorale dei suoi oppositori.

Nel gennaio scorso, il presidente Obama ha scelto l’ammiraglio in pensione Dennis Blair come capo del sistema d’intelligence, responsabile del briefing che riceve quotidianamente a questo titolo. Originario dello stato del Maine (Nord-est), Blair è stato compagno di studi di Oliver North. Mentre era a capo del Comando del Pacifico, si è distinto per avere fuorviato il presidente Bill Clinton al momento della crisi a Timor est. Il primo “zar” dell’intelligence yankee, nominato da George W. Bush, è stato John Negroponte.

MENTRE LA DISOCCUPAZIONE BATTE NUOVI RECORD

Le rivelazioni di Blair sul bilancio astronomico della Comunità di Intelligence sorprenderanno certamente i contribuenti che si trovano attualmente soffocati dalla crisi economica più dura dagli anni 30. L’ex-ammiraglio ha formulato le sue osservazioni sul pozzo finanziario che dirige, il giorno stesso in cui l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha annunciato che gli Stati Uniti sono fra i paesi industrializzati con i dati più allarmanti sull’occupazione, una situazione che peggiorerà ed influirà sui gruppi più vulnerabili: i giovani, gli immigranti e le donne. Secondo tutti gli studi recenti sullo stato dell’economia USA, la maggioranza degli statunitensi si sente soffocata da affitti ed ipoteche, senza parlare delle imposte, e del panico di fronte alla prospettiva di perdere il proprio impiego, come tanti lo hanno già perso, e, di conseguenza, i beni acquistati a credito.

Traduzione di Giovanni Petrosillo

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Conferenza IsIAO. Società, religione e politica nell’India contemporanea

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Conferenza del Prof. Prasanna Kumar Nayak (Direttore del Dipartimento di Antropologia, Utkal University, Bhubaneswar, India) dal titolo

Society, Religion and Politics in Contemporary India

Il prof. Fabio Scialpi, Sapienza, Università di Roma e socio dell’IsIAO presenta al pubblico l’oratore.

Mercoledì 14 ottobre 2009 – ore 17,00
Via Ulisse Aldrovandi, 16/A – Roma
Sala conferenze dell’IsIAO

www.isiao.it

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La cooperazione russo-italiana nel campo dell’energia prosegue, nonostante la crisi finanziaria internazionale

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Fonte: La Voce della Russia

La Società per azioni italiana “ENEL OGK-5”, che possiede in Russia quasi il 56% delle azioni della Società di generazione elettrica russa – in forma abbreviata “Ogk-5”, ha dichiarato di passare una della quattro centrali elettriche – GRES Reftin sugli Urali – all’uso parziale del carbone del Bacino carbonifero di Kuznetsk, nel sud della Siberia, al posto del carbone del Kazahstan che viene usato attualmente. Alcuni particolari al riguardo sono trattati in una rassegna preparata da Valerij Prostakov.

A prima vista la notizia di cui sopra ha un carattere nettamente tecnico e non è di interesse per un vasto pubblico in Italia. Ma i particolari dell’annuncio che ha fatto la divisione russa dell’ENEL, rivela che si tratta di uno sfruttamento razionale, da parte dei nostri partner italiani, delle possibilità di attività produttiva nell’industria elettroenergetica della Russia.

Il valore energetico del carbone del Bacino calorifico di Kuznetsk raggiunge 6700 chilocalorie per chilogrammo.Contro 4000 kcal. del carbone del Kazahstan. La quota del cenere contenuta nel carbone di Kuznetsk è pari al 6 %- 10 % contro il 40 % nel carbone del Kazahstan. Nella combustione del carbonio di Kuznetsk si produce del 40 % in più di energia termica, si producono meno rifiuti nocivi, si riduce del 66 % l’emissione di polvere nell’aria, aumentano l’affidabilità e la sicurezza dell’approvvigionamento termico della centrale elettrica, si rende più stabile il suo funzionamento nel periodo autunno-inverno, più rigido per condizioni climatiche negli Urali rispetto alla zona europea della Russia. Il comunicato che hanno diffuso i vertici dell’Enel-OGK-5 dice altresì che il passaggio di GRES Reftin all’utilizzo del carbone di nuovo tipo che presenta le caratteristiche fisiche del tutto diverse è un progetto pilota.

Come è noto, una condizione dell’acquisto delle attività messe in asta in Russia era l’attuazione di un programma d’investimento che prevedeva, in particolare; la costruzione di nuovi impianti energetici di un determinato tipo, e la loro messa in funzione entro un determinato termine.

L’Enel è diventata la prima società straniera ad avere accettato tali condizioni e ad avere comprato il pacchetto di controllo di azioni di OGK-5. L’Enel provvede ad assolvere completamente i suoi impegni in Russia. Ogni anno la società italiana investe nell’elettroenergetica russa fino a 15 miliardi di rubli. Nei termini stabiliti – entro il Dicembre 2010, alla GRES Reftin sarà messo in funzione un impianto di una potenza di 410 megawatt del costo di circa 400 milioni di Euro. Un analogo progetto è stato elaborato per un’altra GRES facente parte di OGK-5 – quella di Nevinnomyssk nel Sud della Russia. L’Enel ha concesso alla sua Società figlia in Russia un credito di 50 milioni di Euro per non fermare il finanziamento del suo programma d’investimento nelle condizioni della carenza di fondi liquidi. Il Direttore dell’ENI per i progetti internazionali, Carlo Tamburi, ha dichiarato che la Società intende realizzare in Russia progetti d’investimento anche in futuro nonostante la crisi finanziaria internazionale.

Sulla base degli assetti del gas della Jukos fallita, l’Enel, congiuntamente con l’ENI le cui quote di partecipazione sono in rapporto del 40 % al 60 %, ha costituito la Società “Sever-Energhia” (Nord-Energia). Ora l’Enel sta provvedendo a costituire in Russia, sulla base di questa nuova società, un’impresa verticalmente integrata che si occuperà della produzione di gas e della distribuzione dell’energia elettrica.
In cambio dell’accesso alle risorse russe i partner italiani includono la Gazprom nei loro progetti, in Italia e in paesi terzi.
In particolare, un progetto congiunto è direttamente legato all’ingresso della Gazprom, in volume fino al 33 %, in un’impresa che sotto il controllo dell’ENI partecipa allo sfruttamento del giacimento di petrolio “Elephant” in Libia.
L’Enel, da parte sua, propone al partner russo, di acquistare, a scelta, quote di partecipazione in alcune centrali elettriche in Italia.

La cooperazione russo-italiana nel campo dell’energia prosegue nonostante la crisi finanziaria internazionale.

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